La storia della Società Magna Grecia

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La storia della Società Magna Grecia

Nel 1920 alcuni amici dell’ANIMI fondarono la “Società Magna Grecia”, con lo scopo di raccogliere fondi per la promozione di indagini archeologiche e di studi sui reperti, nonché per la preservazione dei monumenti e la costituzione o l’ampliamento dei musei, comprendendo le civiltà indigene, le colonie greche, la civiltà etrusca, l’epoca romana e quella bizantina nell’Italia Meridionale.

Grazie al regolare mecenatismo organizzato da Umberto Zanotti Bianco, con l’apporto scientifico e il diretto coinvolgimento di personalità del calibro di Paolo Orsi, Pirro Marconi, Quintino Quagliati, Amedeo Maiuri, Ugo Rellini, del cosentino Edoardo Galli e di Paola Zancani Montuoro (per non citarne che alcune), la Società poté così programmare ed effettuare una cospicua serie di campagne di scavo in numerose località del Mezzogiorno continentale e insulare (Poseidonia, Velia, Hipponium-Vibo Valentia, Medma-Nicotera, punta Alice presso Cirò, Metaponto, Taranto, agro Materano, Himera, Leontini, Agrigento, S. Angelo Muxaro), contribuendo in tal modo alla conoscenza della più antica storia d’Italia, che una visione schematica ed ideologica allora invalsa voleva romanocentrica.

Tra le risultanze più importanti di queste indagini, vanno indubbiamente annoverate la localizzazione di Sibari arcaica, scomparsa dalla scena della storia italiota verso la fine del VI secolo a.C., e la scoperta del santuario di Hera Argiva alle foci del Sele: straordinaria impresa, quest’ultima, documentata dall’esposizione perenne, nel Museo Archeologico di Paestum, della più eterogenea e monumentale serie di metope, magnificamente scolpite, della Grecia coloniale.

Il contributo della Società all’archeologia nazionale non si limitò tuttavia in quegli anni soltanto al sostegno economico e logistico offerto alle Soprintendenze governative, ma si concretò anche nella definizione di una politica di tutela dei beni culturali della Magna Grecia che prevedesse la creazione di musei ‘territoriali’, primi tra tutti quello di Reggio Calabria e di Paestum, una lotta senza quartiere contro il commercio illecito di antichità e la promozione di campagne di documentazione fotografica del paesaggio meridionale, cui Zanotti Bianco e soci provvidero in proprio.

Largamente apprezzata dagli addetti ai lavori fu, inoltre, l’attività editoriale conseguente e complementare a quella prettamente archeologica. Di essa venne infatti dato sistematico conto, a partire dal 1928, nel periodico “Atti e Memorie della Società Magna Grecia”, giunto oggi (2018) alla sua quinta serie, in alcuni volumi tematici della serie “Il Mezzogiorno artistico” della “Collezione Meridionale”, curata per l’ANIMI dalla storica casa editrice Vallecchi di Firenze, e, non ultimo, sulle pagine dell’“Archivio Storico per la Calabria e la Lucania”, ulteriore «periodico di alta cultura» fondato da Paolo Orsi nello stesso anno (1931) in cui la Società si dotava di una «sezione bizantina», impegnata da subito in operazioni di rilevamento, classificazione e restauro dei monumenti pugliesi, calabresi e siciliani di età medievale in grave stato di rovina e d’abbandono.

Se gli anni Venti del Novecento avevano segnato l’ascesa ed il consolidamento del fortunato Sodalizio, quelli successivi decretarono la prima grossa cesura nella sua storia, allorché la Regia Prefettura di Roma, con provvedimento del 21 agosto 1934, ne sciolse l’organo direttivo «per non aver questo seguito le direttive del Regime».

Costretto in forza di questi eventi a cambiare nome in “Società Paolo Orsi”, per poi riprendere la denominazione originale solo nel 1949 sotto la presidenza di Giulio Emanuele Rizzo, l’istituto continuò a navigare a vista per tutto il secondo dopoguerra, impegnandosi ancora nel sostegno finanziario degli scavi al Sele sino al 1958, in collaborazione con la Bollingen Foundation di New York, e dedicandosi, in parallelo, al potenziamento del proprio settore editoriale, di cui prese ad occuparsi in pianta stabile Paola Zancani Montuoro (1964), allieva in gioventù dello stesso Rizzo.

La Società, che aveva serbato inalterati i caratteri originari della propria ispirazione, era a quell’epoca solo «un retaggio» dell’ANIMI, a cui si era sempre appoggiata dal punto di vista organizzativo e finanziario, pur avendo sempre agito, in ogni tempo, con assoluta potestà autoregolamentativa. «Incredibilmente – come riferisce un suo storiografo – non aveva mai avuto una struttura giuridica propria, tanto che i funzionari fascisti, incaricati di chiuderne le attività nel 1934, avevano preso atto con stupore che a Palazzo Taverna non vi era alcun organo da sciogliere, ma solo un paio di archeologi da allontanare».

Il rilancio dell’attività archeologica dell’ANIMI, a rischio dissolvimento dopo la morte di Donna Paola (14 agosto 1987), poteva non passare – giocoforza – per un’adeguata riorganizzazione del suo “reparto” specialistico. Se ne avvide accortamente, e se ne fece subito carico la Presidenza Cifarelli, insediatasi nel luglio del 1988, con il diretto coinvolgimento teorico e strategico di Giovanni Pugliese Carratelli, da sempre convinto fautore di una natura e sostanza autosufficiente da attribuire alla rinnovanda struttura. Fu però il giurista irpino Gabriele Pescatore, autorevole e ascoltato membro del Direttivo animiano, a suggerire l’assorbimento “ufficiale” della Società tra le voci di esercizio della più antica e autorevole associazione meridionalistica d’Italia.

Risorta dalle sue stesse ceneri come settore scientificamente autonomo dell’ANIMI, con indipendenza di bilancio e un organo direttivo di 21 esperti, la Società poté così ufficialmente riprendere, nel dicembre del 1989, il suo cammino con un programma definito che oltre alla pubblicazione degli scritti sparsi di Paola Zancani Montuoro e degli atti di un convegno in onore dell’archeologa partenopea tenutosi contestualmente a Napoli, prevedeva il recupero e il compimento dell’opus magnum di Donna Paola, ovvero l’edizione integrale dei pinakes locresi: impresa formidabile, portata a termine, tra mille difficoltà, a distanza di oltre cento anni (2009) dalle prime scoperte archeologiche di Paolo Orsi in terra calabra.

Tale programma operativo, nell’impossibilità oggettiva di poter rinverdire la capillare presenza locale dei tempi di Zanotti Bianco, è stato in seguito ampliato e integrato grazie al sostegno esterno liberalmente offerto dalla Società a ricerche in corso da parte delle Soprintendenze per i Beni archeologici della Calabria e di Salerno-Avellino-Benevento: sostegno dal quale sono scaturite, in tempi recenti, due notevoli pubblicazioni (“Atti e Memorie della Società Magna Grecia”, s. IV, vol. IV e V) incentrate rispettivamente sugli scavi effettuati all’Heraion di foce Sele a partire dal 1987 (a cura di Juliette de La Genière e Giovanna Greco) e sulla topografia storica dell’antica Kroton (a cura di Roberto Spadea).

Pur dissimile nella pratica da quello dei tempi pionieristici, e per questo non particolarmente divergente dal successivo di ispirazione montuoriana, l’operato odierno della Società, guidata dal giugno del 1998 da Gerardo Bianco, si configura soprattutto come culturale in senso lato, esercitato però sempre nella consapevolezza che impegnarsi nella riscoperta delle radici di antiche civiltà, quale quella magno-greca, significa contribuire, senza mezzi termini, alla maturazione di una solida coscienza civica nelle popolazioni che di quelle civiltà sono legittime eredi.

   

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