Un ricordo di Giuseppe Galasso, di Gerardo Bianco
«Quotidiano del Sud»
Avellino, domenica 25 febbraio 2018
Maestro è stato davvero Giuseppe Galasso, anche se egli, con divertita ironia, replicava al rispettoso interlocutore: «Sì, ma elementare». In quell’aggettivo, «elementare», non c’era alcuna riduttività. Troppo elegante e sottile era lo spirito del grande storico napoletano per ridimensionare il ruolo fondamentale e alto di chi insegna i rudimenti del sapere. V’era, piuttosto, in quella sorridente replica, un ridimensionamento antiretorico, commisto alla consapevolezza di chi sapeva offrire agli allievi, come diceva Basilio Puoti, “i ferri del mestiere”. «Meraviglioso e sornione orgoglio» ha felicemente definita quella battuta un illustre storico, Luigi Mascilli Migliorini, in una commossa rievocazione su Il Sole 24ore, del suo maestro, Giuseppe Galasso, che ha insegnato con la cattedra, con i libri, con le riviste e i giornali, con le conferenze, con l’impegno parlamentare, con la corrispondenza interpersonale e anche con le conversazioni conviviali per l’intero arco della sua vita, scandita da un’inesausta curiositas, senza concessioni alle effimere mode culturali, sempre protesa a «cercare (vichianamente) il vero e a verificare il certo», che è il compito primario e arduo dello storico.
Dinanzi al lievitare di nuove metodologie interpretative della società, che pure contribuiscono a una più specifica conoscenza dei fenomeni economici e sociali, Galasso è rimasto fermo nella concezione della Storia come materia fondamentale per comprendere, in profondità, le vicende delle comunità umane e della civiltà dei popoli.
È, infatti, con l’analisi storica che si può cogliere la specificità del “politico”, elemento costitutivo della organizzazione istituzionale di un popolo, difficile da individuare e chiarire con altre metodologie interpretative. A testimonianza della inclinazione di Galasso ad affermare, dico grossolanamente, “la superiorità della storia” v’è un suo prezioso scritto dall’emblematico titolo, garbatamente polemico: Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia.
A questa problematica Galasso è stato particolarmente attento, consapevole che la riaffermazione della preminenza della Storia deve fare costantemente i conti con i metodi delle scienze sociali sempre più sofisticate e suddivise per singole, minuziose materie da affrontare con specifici criteri di indagine.
Alla frammentazione specialistica, che comporta impoverimento della conoscenza sintetica e globale, non può che opporsi l’analisi storica il cui metodo deve essere comunque testato costantemente per verificarne la validità.
Nasce da questa esigenza la cruciale rilevanza dello studio della storiografia, dei suoi autori e dei metodi interpretativi ai quali Galasso ha dedicato memorabili scritti.
È del settembre 2017 la pubblicazione della Storia della storiografia italiana, un profilo nel quale egli ribadisce il suo «assiduo interesse e studio della materia», con la elencazione di numerose ricerche che spaziano dalla caduta dell’Impero romano ai nostri giorni, da Giustiniano a Federico II, al Risorgimento e all’Italia unita. Questa bibliografia si apre, nel 1969, con il libro su Croce, Gramsci e altri storici che traccia un incisivo bilancio delle principali correnti storiografiche dell’epoca con le quali Galasso si confronta confermando le sue ascendenze crociane vissute come fermento e ispirazione, mai come pedissequo dottrinarismo dal quale è rimasto immune.
La cautela verso l’assolutizzazione teorica non deve indurre nell’errore di ritenere Galasso indifferente alla elaborazione dottrinale. Egli è consapevole della sua rilevanza nell’esplorazione storica, ma ferma è in lui la convinzione che fondamentali sono soprattutto la sensibilità, l’acume e il discernimento dello studioso che affronta un genere di conoscenza ben diversa dalle “scienze naturali”.
«È facile, – egli scrive – sino ai limiti dell’ingenuità credere di superare la diversità strutturale della storiografia rispetto alle scienze naturali affermando che anch’essa è pratica di una forma di conoscenza. Il problema è di vedere che cosa si conosce e come lo si conosce. La lontananza dalle scienze naturali è abissale. Quelle scienze proseguono su basi essenzialmente sperimentali e per esse non solo l’esperimento, ma anche l’illimitata ripetibilità dell’esperimento sono tutto: un procedimento totalmente precluso allo storico. La scientificità della storia è tutta nel suo rigore problematico, filologico, concettuale, critico, interpretativo, ricostruttivo, rappresentativo. È, cioè, tutta un’altra specie e natura di scienza». Possiamo, sotto questo aspetto, prendendo in prestito una felice formula adottata da Toni Iermano per chiarire il pensiero critico-storico di Francesco De Sanctis, definire la storia concepita da Giuseppe Galasso come “scienza del vivente”, rivolta, appunto, a indagare la realtà nei suoi «forti contenuti etico-politici e materiali, concreti» e nelle «tradizioni di rapporti e interessi sociali tutto, cioè, che dà pienezza di rappresentazione a processi storici … ».
Non c’è da stupirsi per questa suggestione desanctisiana nel metodo dello storico napoletano. Accanto a Benedetto Croce, Francesco De Sanctis è presenza fondamentale nella formazione culturale di Giuseppe Galasso che definiva la Storia della letteratura italiana «un grande libro di storia civile […] rappresentata nell’involucro, per così dire della storia letteraria, di esemplare coerenza metodologica e profondità di vedute, per cui davvero può dirsi che quella storia letteraria abbia segnato una data memorabile».
Giuseppe Galasso, con De Sanctis, che «attraverso la letteratura – egli scriveva – ha fissato uno dei ritratti storici più memorabili dell’Italia e degli Italiani», fissava un canone storiografico nel quale evidentemente si riconosceva.
V’è un filo resistente che, attraverso Croce e De Sanctis, lega Galasso alla illustre tradizione vichiana e di Vincenzo Cuoco. Lo studioso napoletano ha raccolto questa eredità e con un lavoro immenso ha animato una vastissima bibliografia che non ha confini né cronologici né geografici; l’ha riproposta con rigore, profondità, equilibrio e senso del reale che è un dato caratterizzante della grande storiografia meridionale, una tradizione che dura da quindici secoli.
Galasso ha sentito la responsabilità di fare storia, che è anche impegno morale di ricerca obiettiva della verità. Egli ha avvertito la difficoltà di sottrarsi alle suggestioni che possono inconsapevolmente influenzare, in maniera errata, la comprensione e la valutazione degli eventi e della realtà. «Non è affatto semplice ritrovare un punto di vista dominante – egli scriveva – che sfugga a ideologismi, pregiudizi, tradizionalismi, parzialità e simili e altre deteriori influenze». Questo lavorio di scavo, di chiarimento, di liquidazione di luoghi comuni e di malconcepiti revisionismi, basti pensare ai patetici rigurgiti borbonici, Galasso lo ha sviluppato in ponderosi studi, ma anche nella coltivata presenza giornalistica e saggistica con argomentate battaglie meridionaliste che lo collocano nella scia dei Giustino Fortunato, dei Francesco Compagna, dei Rosario Romeo, il grande storico siciliano, al quale Galasso, per visione e metodo, appare più vicino e con il quale ha diretto la preziosa Storia del Mezzogiorno.
Alla finezza interpretativa della storia non poco giovò, ritengo, la pluriennale esperienza di Galasso nella politica attiva e parlamentare che gli consentì di cogliere dal vivo la lotta politica, di vedere da vicino il contrasto dialettico tra i gruppi, il formarsi delle decisioni legislative e le trasformazioni culturali, tattiche e politiche dei partiti sotto l’incalzare degli eventi. Galasso fu anche uomo di Governo. È nota la sua legge ambientalista che rappresentò un importante “passo avanti” nella difesa dell’ambiente e del paesaggio, ma molto intrigante sarebbe studiare il suo diretto impegno parlamentare in Aula e nelle Commissioni. Io lo ebbi collega, affabile e cortese, ma all’epoca mi sembrava anche molto riservato e solitario, forse più incline alla riflessione che alla contesa nell’agone politico verso il quale a me sembra che abbia sempre mantenuto un disincantato distacco.
Quell’esperienza politica, comunque, non può non aver contribuito ad affinare la sua ricerca storica della quale, ripeto, è riconosciuto Maestro senza altra aggettivazione, un Maestro che ci interpella, indicandoci la strada che, attraverso una corretta comprensione storica, può consentire quel work in progress, come esplicitamente proponeva nella sua ultima conferenza su Francesco De Sanctis, nel 2016, all’Accademia Pontaniana di Napoli per la costruzione “della nazione italiana” e dell’Europa.
Galasso era consapevole che la costruzione della “nazione italiana” passa soprattutto per la capacità di affrontare in modo vigoroso la “questione meridionale” che in una sua celebre conferenza tenuta in occasione del novantesimo anniversario dell’ANIMI, alla presenza del Presidente della Repubblica, definì ancora “problema aperto”. Egli ripropose, in quella circostanza la cruciale rilevanza politica del Mezzogiorno in un momento di irresponsabile e irrazionale dimenticanza.
Alla Collezione di Studi Meridionali dell’ANIMI, Galasso, volle affidare, nel 2005, la pubblicazione dei suoi scritti meridionalisti dal significativo titolo: Il Mezzogiorno, da “Questione” a “problema aperto”.
Con la sua conferenza nella Protomoteca capitolina del 30 gennaio 2000 alla presenza di Ciampi e con il suo libro pubblicato dall’ANIMI, Galasso non solo riaprì il dibattito sul Mezzogiorno, ma lo ripropose nei termini giusti, sottolineando, appunto, la permanenza del dualismo nelle strutture economiche e sociali del Paese che andava superato, poiché ancora incompiuta resta l’Unità d’Italia. La “costruzione della nazione” va, dunque, continuata.
È un compito che ci impegna tutti per il quale l’Associazione Nazionale per gli Interessi del Mezzogiorno d’Italia continuerà a battersi, nel solco del magistero di Giuseppe Galasso che dell’antico sodalizio di Umberto Zanotti Bianco, Leopoldo Franchetti, Pasquale Villari, Gaetano Salvemini, Manlio Rossi-Doria, Rosario Romeo, Michele Cifarelli è stato amico e ascoltatissimo consigliere.